sabato 23 luglio 2011

Flagship species


Vorrei iniziare il post di oggi con una piccola domanda a voi lettori.Se io vi chiedessi il nome di una specie a rischio di estinzione a causa dei climate change voi chi mi direste?..Bè probabilmente la maggior parte di voi direbbero l'Orso polare (Ursus maritimus), e  questo è giusto e vero, in quanto il suo ciclo biologico è strettamente legato al ghiaccio dell'Artico e di conseguenza anche le sue problematiche. E' su questa piattaforma che si muove per cacciare, riposare, accoppiarsi e riprodursi, e la principale minaccia quindi alla sua sopravvivenza è la perdita del pack dovuta al riscaldamento globale. In base a quanto riportato da un recente report del WWF, tra il 1979 ed il 2006 la piattaforma di ghiaccio artico è diminuita del 21% (un'area quasi equivalente all'estensione dell'Alaska) ed inoltre il suo assottigliamento rende sempre più facile la sua spaccatura. Quest'ultima criticità fà si per esempio che nell'area delle baie di Hudson e Baffin, in Canada, il ghiaccio si rompe 3 settimane prima rispetto al 1979, questo comporta che sia i maschi che le femmine abbiano meno tempo di mettere su massa corporea cacciando e cibandosi. In questo modo il peso medio di una femmina adulta è sceso da 290 Kg nel 1980 a 230 Kg nel 2004, e questo è un dato molto preoccupante se noi pensiamo che il peso soglia al di sotto del quale una femmina non è più in grado di riprodursi è 189 Kg. Sempre la precoce spaccatura dei ghiacci mette a rischio anche la sopravvivenza dei cuccioli, in quanto a causa delle modificazioni della superficie glaciale, diminuiranno le tane che le femmine possono usare come rifugio. L'Orso polare è una specie altamente specialistica, fortemente adattata all'ambiente artico, caratteristica che la rende così una specie estremamente vulnerabile ai cambiamenti climatici ed alla perdita di habitat; per questo motivo è diventata la specie bandiera dell'impatto che il global warming stà avendo sul mondo intero. L'Orso polare è ciò che viene definita una specie bandiera (flagship species), scelta quindi a simboleggiare un problema ambientale. In realtà vi sono diverse altre specie minacciate dai cambiamenti climatici come il corallo Staghorn (Acropora cervicornis) la cui sopravvivenza è messa in pericolo dall'aumento della temperatura delle acque marine e dall'acidificazione dell'oceano (problematica questa di cui ho già parlato in un post precedente..), o come  la tartaruga liuto (Dermochelys coriacea) dove l'innalzamento delle temperature a livello dell'aria e delle acque determinano un innalzamento del livello dei mari e degli oceani andando a  modificare le correnti, inoltre lo stesso aumento della temperatura della sabbia può alterare l'incubazione delle uova e portare ad un numero sproporzionatamente basso di maschi. Diverse possono essere poi le flagship species che richiamano ad altre criticità ambientali, come la tigre (Panthera tigris) di cui dal 1940 ad oggi si sono estinte 3 sottospecie, ed attualmente sono rimaste in natura solo 3200 individui! (stando agli ultimi dati forniti dal WWF) Essa è diventata un simbolo per la lotta al bracconaggio e alla deforestazione, principali cause del suo declino, ma che appunto non coinvolgono solo la tigre ma un numero di specie molto più alto. In questo senso altre specie bandiera possono essere anche il panda gigante (Ailuropoda melanoleuca), il gorilla di montagna dell'Africa centrale (Gorilla beringei beringei) o il leontocebo rosalia (Leontophitecus rosalia) del sud America, ma su cui non mi dilungo oltre. Le specie a rischio sono davvero tante, e l'errore più grave che potremmo fare sarebbe quello di non considerarlo un nostro problema. Quando una specie scompare, è estinta per sempre. L'impegno per uno sviluppo sostenibile che riduca il degrado del nostro pianeta e ci consenta così di salvaguardare la biodiversità dev'essere sicuramente un'imperativo di tutti i governi, ma credo debba essere anche una nostra condizione morale nella vita di tutti i giorni.

domenica 3 luglio 2011

Una lotta globale: le specie invasive



Nel post precedente ho cercato di sottolineare con l'introduzione del periodo geologico dell'Antropocene come di fatto la presenza e le attività dell'uomo abbiano inciso in modo significativo sul Sistema Terra. Questi interventi dell'uomo, che sono  dettati da un certo stile di vita che si vuole mantenere (e penso sopratutto ai paesi maggiormente "industrializzati"), hanno come effetto la riduzione ed il degrado di ecosistemi ed habitat, l'inquinamento dell'aria e delle acque, dissesti idro-geologici,ecc.. Ecco io oggi volevo affrontare in questo senso una problematica di cui poco si sente parlare, ma estremamente diffusa a livello planetario e riportato di recente anche in un report della IUCN. Si tratta delle specie invasive, cioè di quelle specie che sono state introdotte dall'uomo accidentalmente o di proposito in aree in cui non si trovano naturalmente, ed in queste zone hanno prosperato nella misura in cui si sono adattate al nuovo ambiente. Tale problematica è insieme alla distruzione degli habitat una delle principali cause di estinzione delle specie e quindi di perdita di biodiversità. C'è però da dire che non tutte le specie "non native" sono anche invasive, infatti molte non saranno in grado di adattarsi al nuovo ambiente e saranno quindi destinate a morire; altre magari non cacciano le specie autoctone  o riescono ad essere co-esistenti con esse senza concorrenza. In questo modo un ecosistema riesce a sostenere questo cambiamento senza perdere le sue componenti chiave. La differenza sostanziale quindi tra specie "non nativa" e specie invasiva risiede quindi nel fatto che queste ultime hanno la "capacità" di entrare in competizione con le specie autoctone, determinando un grosso impatto sulla biodiversità di quell'area. Vediamone insieme alcune. Il coniglio europeo (Oryctolagus cuniculus) stà scatenando il caos su terreni agricoli in Australia per giacinti d'acqua (Eichhomia crassipes). Il gambero di fiume della Louisiana (Procamabarus clarkii), il quale introdotto ormai da anni in Italia per allevamento è riuscito a liberarsi (o rilasciato...) e diffondersi così nei laghi e fiumi d'Italia, Francia, Spagna e Germania; esso stà mettendo a forte rischio la sopravvivenza del gambero di fiume autoctono (Austropotamobius pallipes). La mangusta indiana (Herpestes javanicus), introdotta in molte isole come Mauritius, Fiji e Hawaii, dal suo nativo sud est asiatico con lo scopo di aiutare a controllare le popolazioni di ratti di queste zone, ha determinato la scomparsa di molte specie locali di uccelli, rettili ed anfibi che non erano abituati a predatori così veloci. Il pesce persico del Nilo (Lates niloticus) invece è stato introdotto nel lago Vittoria in Africa nel 1954 per cercare di contrastare il drastico calo degli stock ittici causato dalla pesca eccessiva; ma l'introduzione di questa specie contribuì in modo determinante all'estinzione di circa 200 specie di pesci predati o entrati in competizioni con il nuovo arrivato. Tutti questi esempi hanno un denominatore comune: l'uomo. Credo quindi si debba avere senso di responsabilità e cercare di porre rimedio a certe problematiche, come è stato fatto per esempio ad Ascension Island. Essa è un'isola nell'Atlantico Meridionale, la quale era sede di grandi colonie di uccelli marini, poi agli inizi del 1800 sono stati introdotti dei gatti selvatici che hanno di fatto decimato i siti di nidificazione, determinando così un rapido declino del numero di uccelli sull'isola, dei quali rimasero solo delle piccole popolazioni relitte su delle scogliere inaccessibili. Nel 2001 fu programmato un piano di eradicazione del gatto selvatico sull'isola ed entro il Marzo del 2004 l'ultimo individuo di questa specie è stato rimosso. Cosa è successo dopo?Bene uccelli come la Sula dactylatra e il Fetonte leptorus hanno cominciato a ricolonizzare la terraferma. Piani di questo tipo ritengo siano molto importanti per eliminare le specie alloctone invasive prima che esse possano causare dei danni irreversibili alla biodiversità ed agli equilibri naturali con cui entrano in contatto. Deve essere però altrettanto chiaro che l'eradicazione è solo l'ultima possibilità, e riprendendo il senso di responsabilità e di rispetto che dobbiamo avere verso l'ambiente che ci circonda ci tengo a sottolineare come sia importante prevenire il problema e quindi evitare introduzioni di specie che possono determinare degli effetti negativi sulle specie autoctone e sugli equilibri naturali con cui entrano in contatto.